L’allarme del sindacato internazionale al termine della riunione del Comitato esecutivo riunitosi a Londra dal 19 al 21 giugno 2024: «In tutto il mondo i media sono costretti a giocare in difesa su più fronti».
Giornalisti morti ammazzati, non soltanto nelle zone di guerra, minacce e intimidazioni, perdita massiccia di posti di lavoro. Lo stato della professione giornalistica peggiora. In tutto il mondo i media sono costretti a giocare in difesa su più fronti. La situazione descritta nella riunione del Comitato esecutivo della Federazione internazionale dei giornalisti (Ifj), riunitosi a Londra dal 19 al 21 giugno 2024, è quella di una categoria che con sempre maggiore difficoltà cerca di tenere alta la bandiera del diritto-dovere di informare in un mondo stravolto da profondi cambiamenti.
Drammatica è la situazione dei giornalisti che vivono e operano nelle zone di guerra. Dall’Ucraina alla Palestina, esiste un’emergenza che non riguarda soltanto il diritto di lavorare in condizioni di sicurezza, ma anche e soprattutto i bisogni della vita quotidiana. Il sindacato dei giornalisti palestinesi ha denunciato l’uccisione di 56 giornalisti dall’inizio del conflitto con Israele. A questo si aggiunge la distruzione di 62 press office e il bombardamento di 22 stazioni radio. Vittime degli attacchi a Gaza sono state anche le postazioni di media internazionali, come Reuters e Cnn.
Il numero dei giornalisti vittime di violenza è in aumento in tutto il mondo. Dal Sud America al Medio Oriente, passando per molti Paesi europei, è un crescendo di aggressioni, minacce e intimidazioni. Per questo, la Ifj continua portare avanti l’interlocuzione in sede Onu per approvare la Convenzione per la protezione e la sicurezza dei giornalisti e degli operatori dei media.
Dai governi l’informazione è sempre più percepita come un intralcio, un fastidio di cui liberarsi. Cresce il numero dei Paesi che cercano di imbavagliare la stampa attraverso leggi liberticide. Il caso italiano, con il recepimento della direttiva europea sulla presunzione di innocenza e le proposte di ulteriore limitazione della cronaca giudiziaria attualmente in discussione in Parlamento, non è isolato. Sono in aumento anche i tentativi di risalire alle fonti dei giornalisti attraverso strumenti di sorveglianza digitale. I casi più eclatanti, da questo punto di vista, sono stati denunciati in Francia, Regno Unito, Grecia, Ungheria, Ucraina, India, Marocco e Arabia Saudita.
L’avvento del digitale e il progressivo e inarrestabile declino della carta stampata sta ridimensionando ovunque il mercato del lavoro, spingendo verso il basso le retribuzioni. Negli Stati Uniti, per esempio, da novembre scorso hanno scioperato i giornalisti di 31 testate, inclusi Washington Post e Los Angeles Times, per protestare contro i tagli massicci agli organici e ai salari.
L’attacco dei governi all’informazione ha messo da tempo nel mirino anche i servizi pubblici radiotelevisivi. Il fenomeno travalica i confini europei. Il nuovo presidente argentino, Xavier Milei, ha annunciato la privatizzazione della tv pubblica. Una tentazione dalla quale non sono esenti molti Paesi europei, anche dell’Unione, che nonostante gli obblighi imposti dal Media Freedom Act accarezzano l’idea di smantellare le tv pubbliche o, comunque, di fare in modo che siano sempre più controllate dalla politica.
Anche su questo fronte, l’Italia ha fatto scuola. L’occupazione del servizio pubblico radiotelevisivo da parte dei partiti di maggioranza e del governo rappresenta per molti un modello da imitare. In Francia il servizio pubblico sta subendo un duplice attacco. Da una parte, c’è il governo in carica che vuole portare avanti un’operazione di ridimensionamento attraverso l’accorpamento di alcune testate giornalistiche. Dall’altro, c’è il Fronte Nazionale che, in campagna elettorale, ha annunciato, salvo una parziale retromarcia, di voler privatizzare la tv pubblica. Contro l’occupazione del servizio pubblico da parte dei governi in carica si batte anche il sindacato dei giornalisti spagnoli. La recente riforma approvata in Slovacchia, poi, ha già fatto scattare l’allarme rosso a Bruxelles.
I sindacati dei giornalisti aderenti all’Ifj sono convinti che sia necessario far fronte comune per difendere l’informazione in tutto il mondo, chiamando alla mobilitazione anche l’opinione pubblica che va resa consapevole dei rischi che corrono le democrazie lasciando morire la libera stampa.