(da Il Sole 24 ORE)
È illegittimo il licenziamento del lavoratore che denuncia fatti illeciti che si sono verificati in azienda senza preavvertire il datore, il dovere di fedeltà previsto dal codice civile, infatti, non può diventare “dovere di omertà”. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 6501/2013, accogliendo il ricorso di un dipendente licenziato per aver presentato un esposto alla procura della Repubblica di Napoli in cui si denunciavano irregolarità che sarebbero state commesse in relazione ad un appalto per la manutenzione di semaforo.
Secondo la Cassazione infatti “Va escluso in punto di diritto che il denunciare od esporre all’A.G. fatti potenzialmente rilevanti in sede penale sia contegno extralavorativo comunque idoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro, vuoi perché si tratta di condotta lecita e certamente non contraria ai doveri civili (è addirittura penalmente doverosa nelle ipotesi di obbligo di denuncia o di referto: cfr, artt, 361 e ss. c.p.), vuoi perché il rapporto fiduciario in questione concerne l’affidamento del datore di lavoro sulle capacità del dipendente di adempiere l’obbligazione lavorativa e non già sulla sua capacità di condividere segreti non funzionali alle esigenze produttive e/o commerciali dell’impresa”.
I giudici hanno aggiunto che “il lavoratore che produca in una controversia di lavoro copia di atti aziendali riguardanti direttamente la propria posizione lavorativa non viene meno ai doveri di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c.; infatti, da un lato la corretta applicazione della normativa processuale in materia è idonea a impedire una vera e propria divulgazione della documentazione aziendale, dall’altro, in ogni caso, al diritto di difesa deve riconoscersi prevalenza rispetto alle eventuali esigenze di riservatezza dell’azienda, che nel caso di specie non risultano neppure allegate”.
“A maggior ragione, dunque – prosegue la sentenza -, il lavoratore può produrre tali documenti a corredo d’un esposto o di una denuncia penale, dovendo precostituirsi la dimostrazione di aver agito con cognizione di causa per evitare rischi di incriminazione per calunnia, a tal fine potendo non rivelarsi sufficiente la mera indicazione all’A.G dell’esistenza dei documenti medesimi affinché provveda ad acquisirli (nel frattempo potrebbero venire distrutti od occultati”.
Per queste ragioni sono stati affermati i seguenti principi di diritto: “L ‘allegazione, da parte del lavoratore, del carattere ritorsivo del licenziamento intimatogli non esonera il datore di lavoro dall’onere di provare, ex articolo 5 legge n. 604/66, l’esistenza di giusta causa o giustificato motivo del recesso; solo ove tale prova sia stata almeno apparentemente fornita incombe sul lavoratore I’onere di dimostrare I’illiceità del motivo unico e determinante (l’intento ritorsivo) che si cela dietro il negozio di recesso”.
“Non costituisce giusta causa o giustificato motivo di licenziamento l’aver il dipendente reso noto all’A.G. fatti di potenziale rilevanza penale accaduti presso l’azienda in cui lavora né l’averlo fatto senza averne previamente informato i superiori gerarchici, sempre che non risulti il carattere calunnioso della denuncia o dell’esposto”. Neppure “costituisce giusta causa o giustificato motivo di licenziamento l’aver il dipendente allegato alla denuncia o all’esposto documenti aziendali”